Ermanno Badialetti. Partigiano a Cefalonia

 Il fatto storico: L'eccidio di Cefalonia fu una strage compiuta durante la seconda guerra mondiale sull'isola greca di Cefalonia e su quella di Corfù da reparti dell'esercito tedesco ai danni dei soldati italiani dopo l'8 settembre 1943, data in cui fu reso pubblico l'armistizio firmato con gli anglo-americani. La guarnigione italiana di stanza nell'isola greca subì pesanti perdite in combattimento, massacri e rappresaglie e infine l'annientamento A Cefalonia si compì uno tra i primi atti di  "Resistenza " . La stragrande maggioranza dei soldati della Divisione Acqui infatti non s'arrese e preferì combattere i tedeschi sull'isola dopo un referendum indetto dal comandante della piazza gen. Gandin. I superstiti degli scontri, quando non massacrati, furono quasi tutti deportati verso il continente su navi che vennero fatte passare in acque minate dagli inglesi con gravissime perdite umane. Badialetti morì nell'affondamento del piroscafo Maria Amelia con altri 549 soldati sempre della Acqui. Stessa sorte la subirono migliaia di italiani in tutto l'Egeo fino a Creta. Fu uno dei maggiori crimini di guerra commessi dalla Wehrmacht.

Questa che segue è la dichiarazione ufficiale del ten. col. Johannes Barge, comandante del presidio tedesco di Cefalonia fino al 16 settembre 1943 Barge. Questi dichiarava il 4 novembre 1964 al procuratore di Dortmund, Obluda: “Prima che io lasciassi l’isola di Cefalonia, ho saputo di un telegramma di Mussolini, il quale aveva ordinato che gli ufficiali della divisione Acqui, che egli definiva ammutinati, dovessero essere fucilati come punizione per la loro diserzione… Io non ero più a Cefalonia quando gli ufficiali vennero fucilati. Anche Hirschfeld [il nuovo comandante] rimase sbalordito come me. Egli sollevò dubbi sulle modalità d’esecuzione di un tale ordine di fucilare oltre 100 ufficiali e sull’opportunità di gettare i corpi dei fucilati in una fossa comune o di farli affondare in mare. Vorrei aggiungere che nell’ordine di fucilazione di Mussolini erano stati espressamente esclusi i cappellani militari”.     Questo il testo integrale della lettera originale che mi è stata consegnata dalla Prof.ssa Gioconda lnnocenzi,  moglie del fratello Enrico Badialetti  ( anch’egli militare a Rodi), il 23 ottobre 2006, lettera scritta da un commilitone del Badialetti, militare pure lui a Cefalonia nei giorni dell’eccidio. Il contenuto é interessante aldilà della descrizione della scomparsa del Badialetti.

 

Signor Badialetti,
mi scusi se fino ad ora non le ho mai inviato notizie del Suo Ermanno ma creda non e stata trascuratezza ma solo timore di recare un dolore più grande alla sua mamma, perché Ermanno mi disse che Lei era a Rodi in quel periodo tanto triste per tutti e sò che purtroppo anche di là molti non sono tornati quindi la sua lettera mi e giunta di sollievo pensare che la sua mamma avrà Lei di conforto.    Le informazioni sulla sorte di suo fratello le ho date io al Distretto ed alla Unione superstiti divisione Acqui appena giunto dalla prigionia.
Le descriverò in breve come é avvenuta esattamente la cosa.
lo ed Ermanno eravamo cari amici e ci trovammo per la prima volta a Bologna nel febbraio del 43 e da allora fummo sempre assieme e ci inviarono a Cefalonia.
L '8 settembre come saprà alla resa che ci avevano imposto Ci tedeschi), mai ci siamo rifiutati e sino al 27 dello stesso mese combattemmo, ma poi siamo stati sopraffatti e passati per le armi una buona parte di quelli che erano fatti prigionieri.
lo ed Ermanno assieme ad altri nostri compagni ci consegnammo ai tedeschi 2 giorni dopo la resa così ci risparmiarono e ci concentrarono in una caserma.
Da allora il nostro calvario cominciò.
Avevamo un trattamento bestiale e fino al giorno 13 ottobre sopportammo fame, sete e umiliazioni; ma ci siamo sempre fatti animo ed Ermanno sapeva soffrire in silenzio e tante volte ci rincuorava.
Era rimasto l'unico graduato della nostra compagnia perche gli ufficiali tutti indistintamente salvo qualche dottore erano stati massacrati.
La mattina del 13 ci adunarono in un piazzale dove ci diedero da mangiare, poi ci condussero all''imbarco
Salimmo su una specie di nave vecchia; pensi eravamo in 1300 circa e la nave ne poteva contenere la metà, ma ci stivarono come le acciughe senza salvagente senza nulla e, durante la navigazione eravamo felici pensando di aver lasciato quell'isola.
Ermanno mi diceva se potessimo arrivare un giorno a casa mi voglio vendicare di questi giorni tristi.
E così un'infinità di bei pensieri quando a poche ore di navigazione per arrivare a Patrasso, esattamente allargo di Capo Munta un forte boato fece scuotere la nave.
Lei può immaginare il panico.
Fortunatamente la nave rimase a galla 40 minuti circa, il tempo abbastanza per abbandonare la stiva e recarsi in coperta.
Quando tutti noi amici ci trovammo in coperta, riflettemmo un attimo se dovevamo gettarci in acqua o rimanere.
lo, Ermanno e un altro che sapevamo nuotare decidemmo di gettarci.
Gli altri nostri compagni rimasero perche inesperti del nuoto e con la speranza che non affondasse .
Ma quando fummo a un centinaio di metri lontano la nave s'inabisso con tutto il suo carico.
Noi eravamo a sempre a distanza raccorciata e sempre ci davamo voce perche vi erano due dragamine tedesche che raccoglievano i naufraghi e per quasi due ore siamo stati in attesa quando un faro mi individuò e puntò su di noi .
Chiamai Ermanno ma non mi rispose e con mio rammarico non lo vidi e sentì più.
E pensare che per eravamo quasi salvi ma purtroppo il destino non gli diede la forza di resistere .
Creda che per me e stato un dolore.
Finche vivrò non lo scorderò perché apprezzai in lui tutto ciò che si può chiamare virtù e bontà, in special modo negli ultimi giorni tristi.
Così io sono stato tratto in salvo assieme ad altri 180 superstiti ed inviato in Germania.
Venghi pure a trovarmi, sarò ben lieto di vederlo. Sarei io pure venuto ad Osimo ma per le ragioni che le ho spiegato prima non ne ho mai avuto coraggio.
Mi perdoni se sono stato un po' brutale nel rivelarle la fine del suo caro ma purtroppo e la cruda verità.
Con pensiero caro ed affettuoso che sia di conforto per la sua mamma il ricordo di Ermanno di noi tutti come esempio di bontà.
distintamente
 
 
 
CAVANI CESARE
 
CORSO VITTORIO EMANUELE 70
 
MODENA

 

 

Un racconto di Cefalonia

A Cefalonia non si hanno notizie fino alla sera dell’8 settembre, quando arriva un primo comunicato da Atene, sede del comando misto italo-tedesco, da cui dipendono tutte le divisioni italiane in Grecia. Il messaggio, firmato dal generale Vecchiarelli, conferma quasi alla lettera il proclama di armistizio, precisando che: "Se i tedeschi non faranno atti di violenza armata, gli italiani, non, dico non, rivolgeranno armi contro di loro, non, dico non, faranno causa comune con ribelli né con truppe anglo-americane che sbarcassero. Reagiranno con forza a ogni violenza armata". Nella serata del giorno 9, dal comando di Atene giunge un secondo comunicato del generale Vecchiarelli, dal tono disfattista e collaborazionista verso i tedeschi e palesemente in contrasto con quanto annunciato in precedenza.

A Gandin, come agli altri comandanti di divisione, infatti, viene dato l'ordine di cedere le armi collettive e di trasferire il controllo del territorio ai reparti tedeschi: "Seguito mio ordine dell'8 corrente Stop. Presidi costieri devono rimanere attuali posizioni fino at cambio con reparti tedeschi non oltre però ore 10 giorno 10 Stop. Pertanto una volta sostituite Grandi Unità si concentreranno in zone che mi riservo fissare unitamente a modalità trasferimento Stop.
Siano lasciati ai reparti tedeschi subentranti armi collettive et tutte artiglierie con relativo munizionamento Stop. Consegna armi collettive per tutte Forze Armate Italiane in Grecia avrà inizio at richiesta Comandi Tedeschi at partire da ore 12 di oggi. Generale Vecchiarelli". L'ordine chiaramente è stato dettato dai tedeschi, proprio perchè Cefalonia e Corfù erano di rilevante importanza. Essi in poche ore avevano assunto il controllo del comando italiano in Grecia, mentre il senso di isolamento e di solitudine di fronte alla presenza ostile dei tedeschi si diffonde tra le divisioni italiane. Gandin si rende conto che la situazione è drammatica; tra il 9 e l’11 settembre si svolgono estenuanti trattative tra Gandin e il tenente colonnello tedesco Barge, che intanto fa affluire sull’isola nuove truppe.

L'ultimatum tedesco: l'Acqui non si arrende

L’11 settembre arriva l’ultimatum tedesco, con l’intimazione a deporre le armi. All’alba del 13 settembre batterie italiane aprono il fuoco su due navi da sbarco cariche di tedeschi. Barge risponde con un ulteriore ultimatum, che contiene la promessa del rimpatrio degli italiani una volta arresi. Gandin chiede allora ai suoi uomini di pronunciarsi su tre alternative: alleanza con i tedeschi, cessione delle armi, resistenza. In realtà l'ordine di resistere era arrivato dal comando supremo di Brindisi; ma Gandin vuole, comunque, verificare l'umore dei suoi soldati. La mattina del 14 Gandin invia al comando tedesco la sua risposta definitiva: la divisione Acqui non accetta di consegnare le armi e decide di combattere. Il 15 settembre comincia la battaglia, con drastici interventi degli aerei Stuka che mitragliano e bombardano le truppe italiane. Mercoledì 21 settembre i tedeschi entrano ad Argostoli, capoluogo dell'isola di Cefalonia. Nella stessa mattina, il generale Antonio Gandin dal suo quartier generale alza bandiera bianca. Ogni resistenza armata delle truppe italiane è cessata: la città di Argostoli distrutta, 65 ufficiali e 1.250 i soldati caduti in combattimento.  L’Acqui si deve arrendere e la vendetta tedesca sarà spietata. Il Comando superiore tedesco ribadisce che "a Cefalonia, a causa del tradimento della guarnigione, non devono essere fatti prigionieri di nazionalità italiana, il generale Gandin e i suoi ufficiali responsabili devono essere immediatamente passati per le armi secondo gli ordini del Führer". La Wehrmacht a Cefalonia non farà prigionieri. Il 24 settembre il generale Gandin viene fucilato alla schiena; migliaia di soldati italiani con i loro ufficiali sono sterminati dal tiro delle mitragliatrici. In tutto i soldati uccisi saranno 9700, tra cui 446 ufficiali e 3000 superstiti morti poi nel tentativo di fuga, in mare.
L’impresa della divisione Acqui giunge così al suo epilogo. Da allora, il nome della divisione è legato indissolubilmente all'eccidio di Cefalonia da parte dei tedeschi.

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