Ermanno Badialetti. Partigiano a Cefalonia
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- Creato Martedì, 20 Agosto 2013 14:32
- Pubblicato Martedì, 20 Agosto 2013 14:32
- Scritto da Armando DURANTI
Il fatto storico: L'eccidio di Cefalonia fu una strage compiuta durante la seconda guerra mondiale sull'isola greca di Cefalonia e su quella di Corfù da reparti dell'esercito tedesco ai danni dei soldati italiani dopo l'8 settembre 1943, data in cui fu reso pubblico l'armistizio firmato con gli anglo-americani. La guarnigione italiana di stanza nell'isola greca subì pesanti perdite in combattimento, massacri e rappresaglie e infine l'annientamento A Cefalonia si compì uno tra i primi atti di "Resistenza " . La stragrande maggioranza dei soldati della Divisione Acqui infatti non s'arrese e preferì combattere i tedeschi sull'isola dopo un referendum indetto dal comandante della piazza gen. Gandin. I superstiti degli scontri, quando non massacrati, furono quasi tutti deportati verso il continente su navi che vennero fatte passare in acque minate dagli inglesi con gravissime perdite umane. Badialetti morì nell'affondamento del piroscafo Maria Amelia con altri 549 soldati sempre della Acqui. Stessa sorte la subirono migliaia di italiani in tutto l'Egeo fino a Creta. Fu uno dei maggiori crimini di guerra commessi dalla Wehrmacht.
Questa che segue è la dichiarazione ufficiale del ten. col. Johannes Barge, comandante del presidio tedesco di Cefalonia fino al 16 settembre 1943 Barge. Questi dichiarava il 4 novembre 1964 al procuratore di Dortmund, Obluda: “Prima che io lasciassi l’isola di Cefalonia, ho saputo di un telegramma di Mussolini, il quale aveva ordinato che gli ufficiali della divisione Acqui, che egli definiva ammutinati, dovessero essere fucilati come punizione per la loro diserzione… Io non ero più a Cefalonia quando gli ufficiali vennero fucilati. Anche Hirschfeld [il nuovo comandante] rimase sbalordito come me. Egli sollevò dubbi sulle modalità d’esecuzione di un tale ordine di fucilare oltre 100 ufficiali e sull’opportunità di gettare i corpi dei fucilati in una fossa comune o di farli affondare in mare. Vorrei aggiungere che nell’ordine di fucilazione di Mussolini erano stati espressamente esclusi i cappellani militari”. Questo il testo integrale della lettera originale che mi è stata consegnata dalla Prof.ssa Gioconda lnnocenzi, moglie del fratello Enrico Badialetti ( anch’egli militare a Rodi), il 23 ottobre 2006, lettera scritta da un commilitone del Badialetti, militare pure lui a Cefalonia nei giorni dell’eccidio. Il contenuto é interessante aldilà della descrizione della scomparsa del Badialetti.
Signor Badialetti,mi scusi se fino ad ora non le ho mai inviato notizie del Suo Ermanno ma creda non e stata trascuratezza ma solo timore di recare un dolore più grande alla sua mamma, perché Ermanno mi disse che Lei era a Rodi in quel periodo tanto triste per tutti e sò che purtroppo anche di là molti non sono tornati quindi la sua lettera mi e giunta di sollievo pensare che la sua mamma avrà Lei di conforto. Le informazioni sulla sorte di suo fratello le ho date io al Distretto ed alla Unione superstiti divisione Acqui appena giunto dalla prigionia.Le descriverò in breve come é avvenuta esattamente la cosa.

Un racconto di Cefalonia
A Cefalonia non si hanno notizie fino alla sera dell’8 settembre, quando arriva un primo comunicato da Atene, sede del comando misto italo-tedesco, da cui dipendono tutte le divisioni italiane in Grecia. Il messaggio, firmato dal generale Vecchiarelli, conferma quasi alla lettera il proclama di armistizio, precisando che: "Se i tedeschi non faranno atti di violenza armata, gli italiani, non, dico non, rivolgeranno armi contro di loro, non, dico non, faranno causa comune con ribelli né con truppe anglo-americane che sbarcassero. Reagiranno con forza a ogni violenza armata". Nella serata del giorno 9, dal comando di Atene giunge un secondo comunicato del generale Vecchiarelli, dal tono disfattista e collaborazionista verso i tedeschi e palesemente in contrasto con quanto annunciato in precedenza.
A Gandin, come agli altri comandanti di divisione, infatti, viene dato l'ordine di cedere le armi collettive e di trasferire il controllo del territorio ai reparti tedeschi: "Seguito mio ordine dell'8 corrente Stop. Presidi costieri devono rimanere attuali posizioni fino at cambio con reparti tedeschi non oltre però ore 10 giorno 10 Stop. Pertanto una volta sostituite Grandi Unità si concentreranno in zone che mi riservo fissare unitamente a modalità trasferimento Stop.
Siano lasciati ai reparti tedeschi subentranti armi collettive et tutte artiglierie con relativo munizionamento Stop. Consegna armi collettive per tutte Forze Armate Italiane in Grecia avrà inizio at richiesta Comandi Tedeschi at partire da ore 12 di oggi. Generale Vecchiarelli". L'ordine chiaramente è stato dettato dai tedeschi, proprio perchè Cefalonia e Corfù erano di rilevante importanza. Essi in poche ore avevano assunto il controllo del comando italiano in Grecia, mentre il senso di isolamento e di solitudine di fronte alla presenza ostile dei tedeschi si diffonde tra le divisioni italiane. Gandin si rende conto che la situazione è drammatica; tra il 9 e l’11 settembre si svolgono estenuanti trattative tra Gandin e il tenente colonnello tedesco Barge, che intanto fa affluire sull’isola nuove truppe.
L'ultimatum tedesco: l'Acqui non si arrende
L’11 settembre arriva l’ultimatum tedesco, con l’intimazione a deporre le armi. All’alba del 13 settembre batterie italiane aprono il fuoco su due navi da sbarco cariche di tedeschi. Barge risponde con un ulteriore ultimatum, che contiene la promessa del rimpatrio degli italiani una volta arresi. Gandin chiede allora ai suoi uomini di pronunciarsi su tre alternative: alleanza con i tedeschi, cessione delle armi, resistenza. In realtà l'ordine di resistere era arrivato dal comando supremo di Brindisi; ma Gandin vuole, comunque, verificare l'umore dei suoi soldati. La mattina del 14 Gandin invia al comando tedesco la sua risposta definitiva: la divisione Acqui non accetta di consegnare le armi e decide di combattere. Il 15 settembre comincia la battaglia, con drastici interventi degli aerei Stuka che mitragliano e bombardano le truppe italiane. Mercoledì 21 settembre i tedeschi entrano ad Argostoli, capoluogo dell'isola di Cefalonia. Nella stessa mattina, il generale Antonio Gandin dal suo quartier generale alza bandiera bianca. Ogni resistenza armata delle truppe italiane è cessata: la città di Argostoli distrutta, 65 ufficiali e 1.250 i soldati caduti in combattimento. L’Acqui si deve arrendere e la vendetta tedesca sarà spietata. Il Comando superiore tedesco ribadisce che "a Cefalonia, a causa del tradimento della guarnigione, non devono essere fatti prigionieri di nazionalità italiana, il generale Gandin e i suoi ufficiali responsabili devono essere immediatamente passati per le armi secondo gli ordini del Führer". La Wehrmacht a Cefalonia non farà prigionieri. Il 24 settembre il generale Gandin viene fucilato alla schiena; migliaia di soldati italiani con i loro ufficiali sono sterminati dal tiro delle mitragliatrici. In tutto i soldati uccisi saranno 9700, tra cui 446 ufficiali e 3000 superstiti morti poi nel tentativo di fuga, in mare.
L’impresa della divisione Acqui giunge così al suo epilogo. Da allora, il nome della divisione è legato indissolubilmente all'eccidio di Cefalonia da parte dei tedeschi.