i Caduti e il loro ricordo
- Dettagli
- Categoria: Non categorizzato
- Creato Martedì, 20 Agosto 2013 12:12
- Pubblicato Martedì, 20 Agosto 2013 12:12
- Scritto da Armando DURANTI
Federico PAOLINI M.A.V.M. (Osimo 06 novembre 1917 – Senigallia 3 luglio 1944)
Partigiano del GAP "Fabrizi" fu infiltrato come impiegato presso la Questura di Ancona trasferitasi dopo i primi bombardamenti su Ancona (ottobre 1943) a Osimo. Fornì sempre notizie sulle intenzioni del fascio locale e dell'occupante tedesco. Scoperto, venne caricato su un camion delle SS italiane. Si persero le sue tracce per alcuni giorni, fino a quando non fu rinvenuto cadavere all'ingresso di Senigallia. Per la sua attività è stato insignito della Medaglia d’Argento al Valor Militare. Alcune parti d’ indumenti, l'accendino e il portafoglio che Paolini aveva indosso al momento della fucilazione vennero consegnati all'ANPI di Osimo nel 2005 dopo la morte dalla sorella di Paolini attraverso la prof.ssa Marinella Lombardi. Questi oggetti sono tutt'ora custoditi dalla sezione di Osimo.
Paolini informò i giovani del Borgo, renitenti alla leva della RSI, della "missione" di rastrellamento che la Milizia aveva in animo di attuare alla fine del febbraio ‘44.
Ciò consentì a molti di questi di salvarsi ma alcuni, nel tentativo di fuga, furono intercettati dal graduato della Milizia repubblichina Giovanni Giorgetti e dal milite Ioselli. Nello scontro a fuoco che seguì quell’incontro il Giorgetti ebbe la peggio e il milite Ioselli, seppur gravemente ferito, riuscì a scampare rifugiandosi dalla sorella che viveva nei pressi delle Scalette della Misericordia, luogo dove ci fu il conflitto. A causa della conseguente reazione fascista il primo GAP osimano fu sciolto e Quinto Luna costretto a lasciare la città con direzione Arcevia.
Questa la motivazione della medaglia: “Staffetta ed informatore abilissimo della sua formazione, affronta sempre con entusiasmo e coraggio ogni rischio pur di portare felicemente a termine le missioni affidategli. Arrestato e torturato, nessuna parola compromettente usciva dal suo labbro, fin tanto che il nemico, incapace di strappargli la benché minima notizia, barbaramente lo finiva a colpi di pugnale. Osimo – Senigallia, settembre 1943 – luglio 1944”.
Amedeo SERLONI M.B.V.M. e Ordine al Valore della Rep. Jugoslava (Osimo 15 gennaio 1916 - Quota Pogliana (SRB) 4 dicembre 1944)
Chiamato alle armi dal regime fascista, inquadrato nel plotone comando del 449° sottosettore A della Guardia alla Frontiera nel territorio di guerra jugoslavo con il grado di caporale, si ritrova l’8 settembre in territorio extrametropolitano: Per non essere deportato in Germania sceglie di combattere a fianco dei partigiani slavi. Non sappiamo tuttavia cosa fece dall’8 settembre ’43 all’ottobre ’44 poiché fu dichiarato disperso già dalla metà dell’agosto ’43 e il suo nome non risulterà né tra i dispersi né tra i prigionieri di guerra. Le poche notizie in nostro possesso ne risegnalano la presenza dal 30 ottobre 1944 quando si presenterà al comando della Divisione Italia, formazione che si era costituita il giorno precedente. Fu infatti concordato con l’EPLJ di riunire tutti i combattenti italiani, sparsi nei vari reparti, sotto un’unica divisione. La Divisione Italia contava quattro battaglioni, tra cui il Mameli di cui fece parte Serloni: la divisione aveva sede nella periferia di Belgrado e sappiamo che i vari battaglioni rimasero nei dintorni della capitale fino a metà novembre per addestramenti e per rinvigorire lo spirito di unità.
Iniziò poi una marcia di oltre 150 km per avvicinarsi al fronte di guerra dello Srem (una regione a confine tra Serbia e Croazia; sfondato questo fronte solamente nell’aprile 1945, l’esercito popolare jugoslavo poté liberare Zagabria): il Mameli si attestò a quota 190 nei pressi di Lezimir. Domenica 3 dicembre, con il supporto della V e VIII bgt montenegrina, iniziò lo scontro aperto con la Wermacht, ma solamente in tarda serata si riuscirono a conquistare le posizioni nemiche. Il giorno seguente anche il Mameli si pose in prima linea e, dopo un duro scontro sul settore destro, occupò le posizioni nemiche, inseguendolo fino ai dintorni di Ljuba: il tributo pagato dagli italiani fu di 13 uomini caduti sul campo, tra cui, molto probabilmente, ci fu anche Amedeo Serloni. Da alcuni dispacci risulta infatti ferito e ricoverato presso un ospedale militare jugoslavo (probabilmente quello di Pistinac), mentre in altre versioni disperso. Quello che è certo è che per il suo valore dimostrato sul campo (a questo punto possiamo affermare quasi con certezza in quest’azione di sfondamento per la liberazione di Ljuba, Sot, Sid e via via tutte le altre), il Serloni fu decorato con l’Ordine al Valore jugoslavo e la Medaglia di Bronzo al Valor Militare. Questa la motivazione: “Alla testa del proprio reparto, dopo aver conquistato di slancio una munita posizione nemica, non pago del successo ottenuto, si portava arditamente all’inseguimento dell’avversario, finché, colpito gravemente si abbatteva incitando ancora i propri uomini all’azione. – Quota Pogliana, 4 dicembre 1944”.
Marino VERDOLINI M.B.V.M (Osimo 15 giugno 1911 - Mezzano di Ravenna 21 gennaio 1945)
Già fondatore della cellula comunista clandestina “Banda Ragno” nel 1931, fu anch’egli condannato al confine a Lipari (ME) nel 1932. Entrò sin dal 1943 nella Resistenza dando il proprio contributo nel GAP "Fabrizi" e dopo la liberazione di Osimo si arruolò nel CIL div. "Cremona", 77° compagnia genio artiglieri. Rimase ucciso nell’esplosione di una mina calpestata a Mezzano di Ravenna nell'area dello zuccherificio (vedi menu principale-osimani nel cil. marino verdolini). La moglie e la piccola figlia emigrarono in Argentina ritornando una sola volta nella città natale dove é sepolto il loro congiunto. Struggente é il racconto del cappellano della divisione Cremona, racconto riportato nel dopoguerra nella rivista "la Spiga", dove sono narrati dal prelato gli ultimi momenti di Verdolini. Il suo nome è inciso sulla lapide commemorativa all’ingresso del Sacrario della Camerlona alle porte di Ravenna, cimitero che riunisce i caduti della Divisione Cremona. Per la sua attività partigiana è stato insignito della Medaglia di Bronzo al Valor Militare con la seguente motivazione: “Geniere volontario di guerra partecipava per sette giorni consecutivi alla posa di un campo minato di notevole estensione a stretto contatto col tedesco nemico. Sotto il fuoco dei mortai e delle armi automatiche palesava doti di non comune coraggio ed era di incitamento ed esempio ai compagni. Quasi al termine del rischioso compito rimaneva vittima dello scoppio di una mina, concludendo con l’estremo sacrificio l’abnegazione e l’alto sentimento del dovere sempre dimostrati. – Casa Baronio (Ravenna) 14 – 21 gennaio 1945”.
Ermanno BADIALETTI (Osimo 26 aprile 1914 – Cefalonia (GRE) 13 ottobre 1943)
Sergente della nota Divisione Acqui. Appartenente al 108° genio telegrafisti nel ’41 fu inviato in Albania, a Valona, prima di ottenere il congedo illimitato l’anno seguente; nel ’43 fu però richiamato alle armi e la sua destinazione Cefalonia, probabilmente, come riporta il cappellano della formazione Don Romualdo Formato, con la 31a Compagnia artiglieri, di cui restarono in vita solo 90 militari sui 330 che ne avevano fatto parte. Partecipò alla scelta democratica di non arrendersi ai tedeschi né di consegnare loro le armi seguendo il generale Alessandro Gandin e resistendo in armi fino al 24 dello stesso mese quando vennero catturati e trucidati gran parte dei militari italiani. Si consegnò ai tedeschi solo due giorni dopo. Rimasto l'unico graduato tra i superstiti si premurò d'incoraggiare i compagni prigionieri costretti a fame, sete ed umiliazioni, fino all'imbarco che avrebbe dovuto portarlo sul continente per essere poi deportato in Germania il giorno 13 ottobre. Durante il viaggio verso Patrasso, all'altezza di Capo Munda, il piroscafo Maria Amelia venne dirottato verso un tratto di mare minato dagli inglesi. Ermanno perì annegando insieme ad altri 544 soldati italiani. (vedi racconto sul menu principale)
Alfredo CASARETTO (Istanbul (TUR) 13 luglio 1913 – Cefalonia (GRE) 24 settembre 1943)
Osimano d’adozione, seppur per un breve periodo, poiché nato ad Istanbul da famiglia italiana residente in Turchia già da metà Ottocento. Alfredo, la sorella Jolanda e la madre Giuseppina si trasferirono in città, in via Martorelli 23, nel 1940, anche se non ne sappiamo il motivo non avendo neanche parenti in zona (si può ipotizzare che sia legato al fatto che Jolanda era un’insegnante). Il Tenente Casaretto comandava la 5° Sezione Sussistenza della Divisione Acqui di Cefalonia e fu fucilato assieme agli altri ufficiali che, seguendo gli ordini giunti da Brindisi, resistettero ai nazisti rifiutandosi di consegnare loro le armi e arrendersi. L’ultimo pensiero del Tenente fu per la madre prima di essere fucilato, assieme ad altri 129, alla Casetta Rossa di Argostoli il 24 settembre 1943: “Caro Don Formato – riporta il cappellano della divisione - chi ce lo avrebbe detto quando facevamo le nostre belle risate a Igoumenitsa! ... Io mi sono sempre posto davanti allo spirito l'eventualità della morte. Ma in questa maniera, no! ... Pensa un po': lascio la mamma sola! Venni via da Istanbul perché, se fossi rimasto lontano dall'Italia, mi sarebbe parso di fare l'imboscato ... E portai, con me, anche la mamma. Ma intanto abbiamo lasciato a Istanbul casa, possedimenti, interessi, tutto ...Ora come farà, sola, quella povera mamma mia? ... Non sopravviverà allo strazio - povera donna! -lo sento ... lo prevedo ... ne son certo! Verrà anch'essa a trovarmi presto! Addio, don Formato!” Giuseppina Grima rimarrà ad Osimo fino al 1957 quando poi farà ritorno in Turchia e lì morirà tre anni più tardi.
Lelio CASTELLANI (Osimo 2 giugno 1925 – Chigiano 24 marzo 1944)
Piero GRACIOTTI (Osimo 5 marzo 1923 – Chigiano 24 marzo 1944)
Alessio LAVAGNOLI (Osimo 27 marzo 1924 – Chigiano 24 marzo 1944)
Franco STACCHIOTTI (Osimo 15 settembre 1923 – Chigiano 24 marzo 1944)
Appartenevano tutti al distaccamento “Mario” di stanza a Frontale di Cingoli, in pattuglia nei pressi di Valdiola di San Severino. Questa la narrazione del fatto: "Le numerose azioni svolte dai partigiani durante i primi mesi del ’44 e il muoversi del fronte con il necessario ripiegamento tattico verso nord, indussero i nazifascisti ad organizzare un vasto piano di rastrellamento nell’intera provincia maceratese e, quindi, anche nella zona del monte San Vicino controllata dai partigiani, tanto che Cingoli fu dichiarata repubblica autonoma con un suo prefetto anche se questo non prese mai servizio. Nella giornata del 24 marzo si scatenò la cosiddetta “battaglia di Valdiola”. Nella tarda notte tra il 23 e il 24 giunse l’allarme di un imminente attacco. Quattro battaglioni misti di fascisti e tedeschi, oltre 2000 unità, armati di mortai, mitragliatrici e fucili mitragliatori, nonché di una radio trasmittente, avanzarono tra le montagne provenienti da San Severino Marche. L'allarme scattò ma erroneamente le informazioni davano l'attacco dalla zona di Serra S. Quirico: probabilmente erano i primi scontri a fuoco quelli che vennero uditi. L’esercito nazista attaccò invece i partigiani su un fronte molto vasto: da Matelica su Braccano, da Castelraimondo su Gagliole e da San Severino su Chigiano. La prima postazione a cadere fu quella di Braccano e a seguire fu la volta di Roti, dove perse la vita il capitano partigiano Salvatore Valerio. La caduta di Roti lasciò scoperta la località di Valdiola. A causa della sua posizione geografica, Valdiola non poteva essere difesa da un attacco così massiccio e la formazione non riuscì ad essere avvisata per tempo di quel che stava accadendo intorno. La pressione tedesca era molto dura, tanto che l’esercito riuscì ad occupare alcune case di Valdiola e le bruciò, senza fortunatamente provocare vittime civili. Il comandante Depangher ricorda: “La lotta è in campo aperto: i boschi nudi, le macchie spoglie, la neve sulle alture, rendono troppo visibile ogni nostro movimento. Eppure grossi nuclei partigiani, con violente azioni di fuoco di armi automatiche pesanti e con improvvisi attacchi ravvicinati con bombe a mano e mitra, attaccano il nemico da tutte le parti. Solo verso le 13 i tedeschi riescono a scendere a valle e ad occupare le quattro case che costituiscono Valdiola”" (Piangatelli 1985, p. 99).
Sulla collina del Castellano, sopra Chigiano, era impegnato il gruppo Porcarella, comandato dal ten. Agostino Pirotti. Mentre l’offensiva tedesca sul Musone veniva fermata, i partigiani del gruppo Mario avanzarono in contrattacco venendo in aiuto di Pirotti e dei suoi uomini.
Dopo aver combattuto durante tutto il giorno, a notte ormai giunta, i gruppi Mario, Porcarella e Cingoli riuscirono ad ottenere la ritirata nazifascista. Il tentativo tedesco di disperdere e annientare le bande partigiane della zona del San Vicino fallì fermando momentaneamente l'azione nazifascista. L’esercito nemico contò numerosi caduti tra cui il comandante della spedizione. Dall’altra parte si ebbero 12 partigiani feriti, tra i quali il comandante Paolo Orlandini, e 20 morti tra combattenti e civili. Nella battaglia persero la vita cinque uomini del gruppo Porcarella, sei partigiani del gruppo Paolo - Franco Stacchiotti, Piero Graciotti, Lelio Castellani, Giuseppe Paci, Umberto Lavagnoli e Augusto Filippi - che vennero torturati e falciati a colpi di mitra contro il parapetto del ponte di Chigiano e gettati nel sottostante greto del Musone, lì, raggiunti, furono evirati e "soffocati" con il feticcio raccolto; infine una figura esemplare del battaglione, il russo Josip Dimitrov, fu fucilato presso la frazione di Corsciano. Tra quelle vittime figurano pure Anacleto Giulietti di Sirolo e Lubiano Bondi di Camerano. Quando furono raccolti i martire del ponte di Chigiano, raccontano i compagni, i cadaveri erano così sfregiati da rendere difficile il loro riconoscimento. Lelio Castellani, ad esempio, fu riconosciuto da una boccetta di brillantina che teneva nel taschino. I loro cadaveri furono portati a Frontale su una Lancia Flavia requisita al Vescovo di Macerata e lì sepolti fino alla traslazione ad Osimo, a liberazione avvenuta. Annualmente, ogni prima domenica di luglio, vengono commemorati sul luogo con una manifestazione interprovinciale con gli altri caduti di Valdiola Chigiano.
Marcello ESPINOSA (Ancona 13 aprile 1926 – Osimo 22 giugno 1944)
Augusto PALLOTTA (Osimo 24 gennaio 1924 – Osimo 22 giugno 1944)
Partigiani dello Stacchiotti, sorpresi entrambi a bordo di un’autovettura proveniente da Osimo e diretta alla sede del Gap “Stacchiotti” nei pressi delle Casette di Rinaldo (località di Osimo), giunsero sul luogo dove stava avvenendo un conflitto a fuoco tra i partigiani della seconda squadra e un soldato tedesco di transito su una moto. Ignari di quanto stesse accadendo furono falciati dai colpi del tedesco non appena scesi dalla vettura. Il tedesco riuscì a fuggire. Due giorni dopo un plotone di soldati tedeschi apparve sul luogo dello scontro iniziando a rastrellare la zona chiedendo notizie dei "banditi". Le conseguenze furono tremende: i tedeschi uccisero prima il mugnaio Polverini che non volle collaborare e distrussero poi l'abitato facendo appiccare il fuoco dagli stessi abitanti delle case. Le salme di Pallotta ed Espinosa furono esposte presso la Camera Mortuaria di Osimo ricevendo la visita di tanti concittadini.
A sfida dei tedeschi i du
e vennero esposti pubblicamente con la camicia rossa addosso. Gli stessi nazifascisti non osarono alcuna censura o ritorsione sentendo ormai prossima la fine, avvenuta poi il 6 luglio successivo.
Il cippo delle Casette di Rinaldo in ricordo dell’episodio è opera dello scultore osimano Romolo Augusto Schiavoni: il disegno originale è in possesso della sezione. Il cippo fu eretto nell'aprile del 1976 e successivamente spostato più addietro per l'allargamento della provinciale cui insiste. Il monumento non è stato mai ultimato rimanendo assente della parte in ferro sopra la lapide per la fragilità della pietra arenaria cui è posta la lapide.
Bruno LIBERTI (General Dehesa (ARG) 14 gennaio 1913 - Fossoli 12 luglio 1944)
Cattolico, osimano nato in Argentina, insegnante, aveva partecipato alla campagna d’Etiopia ottenendo due croci di guerra e una medaglia di bronzo con il grado di capitano nei Granatieri di Sardegna. Nel 1943 non aderì alla RSI e fu catturato alla stazione di Bologna, durante uno dei suoi viaggi tra Lubiana e Brindisi, dalle SS che lo rinchiusero prima nel carcere di Castelfranco Emilia, fino all’aprile del 1944, poi internato presso il campo di concentramento di Fossoli (MO), matricola 1397, baracca 17. Ritenuto scomparso a Pinerolo, le nostre ricerche, attraverso la Fondazione Fossoli, determinarono che il Liberti fu riconosciuto nella salma n. 44 tra quelle estratte al poligono del Cibeno di Fossoli: una delle più conosciute stragi in Italia avvenuta il 12 luglio 1944.
La stampa dell’Italia liberata diede grande rilievo all’esumazione delle vittime e alle esequie solenni il 24 maggio 1945 nel Duomo di Milano: fu forse il primo momento pubblico in cui popolazione e personalità politiche e militari si fusero unanimi nel compianto e nella condanna. Il materiale appartenuto al Liberti, tra le quali la lettera salvacondotto dell'arcivescovo di Lubiana, benché individuato, é andato disperso nonostante gli sforzi della sezione ANPI osimana.
Per averne salvaguardato la memoria e quella del campo e dei suoi malcapitati “ospiti” e pubblicato una biografia, la Fondazione Fossoli é stata premiata con il Premio Fabrizi 2008. La figura di Liberti é legata in particolare al presidente ANPI Armando Duranti, ex granatiere di Sardegna, tanto da recuperarne l'abaro della sezione locale e la proposta di medaglia al valore per il cap. GdS Alberto Alessandrini che comandò il plotone di granatieri che difese l'8 settembre 1943 il Campidoglio, oltre che dai tedeschi, anche dal fuoco dei fascisti che sparavano dal palazzo prospicente Palazzo Venezia.
Gino MARINI (Osimo 28 dicembre 1919 - Rovigno (CRO) 29 luglio 1944)
Inviato sul fronte di guerra nel 1940, aggregato alle truppe del presidio di Zara con il battaglione mitraglieri “Cadorna”. Attilio Mancinelli di Ancona, suo compagno di lotta, nel 1949, davanti alla Tenenza di Osimo, rilasciò la sua testimonianza sul ruolo di Marini in Jugoslavia. Racconta il Mancinelli che conobbe Gino Marini il 9 settembre 1943 in procinto di imbarcarsi a Zara per far ritorno in Italia insieme a gran parte del suo reparto: quell’imbarco tuttavia non avvenne mai perché il sopraggiungere di truppe tedesche interruppe le operazioni facendo prigionieri una gran parte dei militari italiani. Marini e Mancinelli riuscirono a fuggire e, nei dintorni di Zara, furono avvicinati da alcuni partigiani slavi del battaglione Dubajo: inizialmente promisero loro di aiutarli a rimpatriare ma dopo una quindicina di giorni i due decisero invece di unirsi a quel battaglione. Dopo circa un mese Marini e Mancinelli entrarono a far parte della 1° Batteria di Artiglieria della 2° Divisione dell’EPLJ e furono sottoposti ad un corso da parte degli slavi stessi a Varkowine. Ultimato questo, venne loro consegnato un pezzo d’artiglieria e furono inviati a Senj per compiere azioni contro le imbarcazioni tedesche che compivano il tragitto tra Fiume e Karlopag finché le forze preponderanti dei nemici costrinse loro a ritirarsi dopo circa tre mesi di attività; furono quindi inviati verso il confine italiano, dove avvenne la scissione tra gli elementi italiani e slavi del battaglione. Dopo vari mesi passati a far parte di una compagnia di lavoratori, decisero di aggregarsi alla 1° compagnia rovignonese di partigiani italiani, il cui compito era quello d sabotare e intralciare il passaggio tedesco per ferrovia e strada. Il 29 luglio 1944, verso le ore 17, ben nascosti dietro dei cumuli di pietre, il gruppo di cui facevano parte i nostri due, attaccò una colonna motorizzata tedesca. Lo scontro a fuoco durò circa 15 minuti e, nel tentativo da parte del gruppo di 20 partigiani di ritirarsi, Gino Marini fu colpito da un proiettile alla gola che lo uccise sul colpo. Mentre continuava la ritirata, tre compagni rimasero sul posto per dare una sommaria sepoltura all’osimano, che da un paio di mesi era divenuto sergente. Tre ore più tardi, con la certezza che i tedeschi avessero fatto ritorno a Pola dopo aver effettuato un rastrellamento nella zona, la pattuglia partigiana tornò a raccogliere la salma del loro unico compagno morto in quell’azione per seppellirla nel cimitero di una piccola cittadina tra Vignano e Kanfanar.
Luigi MOSCHINI (Osimo 25 maggio 1926 - Casermette di Rivoli 10 marzo 1945)
Si trasferì giovanissimo a Torino. Militò nelle file della 20° Brigata Garibaldi della 2° Divisione comandata da Battista Cardoncini, nel distaccamento di Chialamberto. Partecipò a tutti i combattimenti della suddetta Brigata e nel settembre del 1944, dopo un rastrellamento ad opera di circa 10.000 tra tedeschi e fascisti, dovette rifugiarsi in Francia. Fu tra i pochi che ritornarono per continuare a combattere e precisamente il 6 ottobre 1944, contribuendo a formare bande partigiane con il nome di Gino I. Fra le tanti azioni di guerra, una delle più importanti fu quella del 6 gennaio 1945, quando, in compagnia di Pietro, Mariolo e Porthos (che comandava la pattuglia), venivano attaccati dai paracadutisti della Nembo a Chiaves (Valle di Lanzo). Già in paese corre la voce della disfatta; ma tutti resistono e riescono ad aprirsi un varco tra le fila repubblicane e raggiungere i compagni partigiani.
La sera del 10 gennaio 1945, durante un fortissimo attacco di repubblicani e tedeschi, la colonna G.L. si deve ritirare a Chialamberto e si divide in due; il grosso col Comandante Tuscano Bruno (fucilato poi dalla Nembo), la rimanenza con Nino Porthos. E quella sera fu l’ultima del caro Gino perché fu preso prigioniero dalla Folgore. Invitato ad arruolarsi nella Repubblica egli rifiutò (da vero partigiano), e fu la causa della sua morte. Consegnato ai tedeschi dai servi fascisti, lo fucilarono con Novelli Renato (Renè), suo inseparabile compagno di lotta e con Berton Luciano, Cassinelli Giuseppe, Lucco Borlera Luigi, MolinariRenato e Tartaglione Giuseppe.
Nel 2012 il Premio Nazionale ANPI Fabrizi ha premiato per meriti nella ricerca storica Franco Brunetta di San Maurizio Canavese. Nell'occasione vennero riuniti il fratello di Luigi che vive in Piemonte e i parenti osimani.
Biografia tratta integralmente dal giornale “La Fiaccola Ardente” (portavoce mensile dell’Associazione Nazionale Famiglie Martiri e Caduti per la Liberazione) nel numero di gennaio 1950.
La storia di Moschini è trascritta nel volume di F. Brunetta "i ragazzi che volarono l'aquilone", ed. Araba Fenice 2010
Alfredo SCONOCCHINI (Osimo 14 luglio 1904 - Foro di Cingoli 22 giugno 1944)
Dal 21 giugno 1944 gli scontri tra truppe tedesche e formazioni partigiane si verificarono sempre più assiduamente nella zona di Cingoli e nelle sue frazioni. Il giorno 22 i partigiani si scontrano con dei tedeschi in località Foro. Le mitragliatrici partigiane abbatterono 4 militari; un quinto, sebbene ferito, riuscì a scappare e a raggiungere San Severino. Dopo qualche ora, altri tedeschi si avvicinarono nei pressi del posto di blocco e, giunti in contrada Marcucci, una spia li avvertì che i partigiani erano in attesa nella galleria. I tedeschi allora proseguirono per un altro chilometro e si imbatterono in Alfredo Sconocchini, meccanico e autista del dist. "Mario" di Frontale. I nazisti, dopo averlo lasciato passare, riconosciutolo per partigiano, gli spararono un colpo alle spalle. Il luogo dell'uccisione di Sconocchini é indicato da una croce marmorea con l'incisione “Alfredo Sconocchini partigiano”.
Gino VOLPINI (Osimo 1924 - Staffolo 4 maggio 1944)
Il 4 maggio 1944 una formazione di soldati tedeschi provenienti da Cingoli condussero ammanettato a Staffolo il giovane osimano Gino Volpini, componente della banda “Mario”. Sospettato di essere un partigiano, era stato fermato appena fuori dall’abitato mentre viaggiava a bordo di una motocicletta. Messo alle strette, il giovane riferì ai tedeschi le circostanze che lo avevano condotto fin lì e diede spiegazioni sul possesso del mezzo su cui stava viaggiando. In particolare riferì che la motocicletta gli era stata consegnata da Federico Camerucci, membro comunista in seno al Cln di Staffolo, come volontario contributo alla lotta partigiana. Il caso volle che quest’ultimo non si trovasse in casa quando i tedeschi entrarono nella sua abitazione sparando raffiche di mitra all’impazzata. Presero allora il fratello Alceste e uno sfollato di Ancona, Alberto Nacci, messi entrambi sotto la minaccia delle armi. Secondo alcune testimonianze, insieme a loro fu prelevata anche la moglie Eleonora. Federico Camerucci arrivò poco dopo, accompagnato da alcuni conoscenti e dal commissario prefettizio di Staffolo, Krüger Berti. Questi, avvalendosi anche della sua autorità, riuscì a distendere un po’ il clima e indurre i tedeschi alla calma. Iniziò così un drammatico confronto tra il giovane Volpini che, tremante, continuava a ripetere la sua versione dei fatti per cui avrebbe ricevuto la motocicletta da Camerucci con lo scopo di consegnarla al comando partigiano, e lo stesso Camerucci, il quale all’opposto insisteva, anch’egli disperatamente, che la moto gli era stata prelevata da Volpini sotto la minaccia di ritorsioni. La posizione dei testimoni, che convalidarono la versione di Camerucci, indusse i tedeschi ad addossare tutta la responsabilità a Volpini, che peraltro aveva ammesso la sua appartenenza alla causa partigiana. Liberati i due fratelli Camerucci e Nacci, i tedeschi condussero il giovane Volpini fuori dall’abitazione e, percorrendo il corso del paese, arrivarono di fronte al municipio. A quel punto, un militare delle SS puntò la sua arma su di lui e lo uccise. Il corpo del giovane fu poi portato e sepolto al cimitero di Frontale. Da lì, il 9 ottobre dello stesso anno, fu traslato a Osimo nella chiesa di San Marco, dove si svolsero le esequie solenni, insieme con le salme di altri 9 partigiani caduti in combattimento. Notizie orali lo danno presente allo scontro nel quale rimase ucciso il 10 febbraio 1944 ad Osimo il repubblichino della Milizia Giovanni Giorgetti, durante un rastrellamento di renitenti alla leva delle classi 1924 e 1925 con l'altro milite Ioselli. Una lapide ricorda il sacrificio di Volpini a Staffolo presso Porta Venezia.
Carlo POLVERINI (Osimo 1885 - Casette di Rinaldo di Osimo 24 giugno 1944)
Patriota. Venne ucciso a sangue freddo da un ufficiale tedesco nel corso di una perquisizione presso la sua abitazione/mulino alla ricerca dei partigiani dello Stacchiotti che operavano in zona. Si rifiutò di fare i nomi dei partigiani che erano stati autorizzati dallo stesso Polverini a lasciare l'auto di Pallotta ed Espinosa, coinvolta nello scontro di Casette di Rinaldo, nella sua proprietà.
Augusto BELFIORI (Osimo 1898 - Osimo 6 luglio 1944)
Contadino del luogo, coinvolto nella battaglia di Casenuove per la liberazione di Ancona, si rifiutò di collaborare con i tedeschi fornendo la propria manodopera alla costruzione di una trincea e per questo fucilato.
Giulio SPINSANTI - Patriota, Osimo (Casenuove)
Nei giorni della tremenda battaglia delle Casenuove, contadino del luogo, di fronte all'immane tragedia della guerra , se ne fece parte trasportando i militi feriti del Corpo Italiano di Liberazione con il proprio carro agricolo trainato da buoi. Finito su una mina con il carro nel corso della sua opera soccorritrice, con lui perirono tutti i militari trasportati cui l'unica M.O.V.M. del fronte del Musone il ten.Luigi Ettore Maestri di Pavia.
le pietre del ricordo
i monumenti alla Resistenza di Osimo
OSSARIO MONUMENTALE DEI CADUTI DELLA RESISTENZA E DELL'ANTIFASCISMO
COLLOCAZIONE : Cimitero monumentale Maggiore - OsimoDATAZIONE : Aprile 1976AUTORE : Elmo CappannariREALIZZAZIONE : Ditta Marchegiani Marmi – Ditta Quinto Luna (stella bronzea)DESCRIZIONE : Tomba monumentale contenente i resti mortali di alcuni partigiani osimani. La base, a forma di parallelepipedo regolare, e sovrastata da una croce di identiche dimensioni in marmo doppia incrociata perpendicolarmente da cui si staglia la stele in forma di stella.; sulla parte superiore inclinata della base sono collocate le fotografie con i dati relativi (nomi, date n. e m.). Iscrizione sul lato corto della croce: Osimo \ riunisce qui i resti mortali \ dei partigiani caduti \ per la libertà
La cerimonia annuale al cippo. Il Cippo
MONUMENTO ALLA RESISTENZAIn ricordo dei martiri della Resistenza nel trentennale COLLOCAZIONE : Via Lionetta (Osimo Centro)DATAZIONE : 5 luglio 1974AUTORE : Elmo CappannariREALIZZAZIONE : Ditta Marchegiani MarioDESCRIZIONE : Parallelepipedo in marmo con rampicante avvolgente in bronzo su pietra
25 aprile 2013. Giovane dell'ANPI tiene ildiscorso commemorativo al monumento
LAPIDE COMMEMORATIVA
COLLOCAZIONE : Loggiato del municipio DATAZIONE : 24 giugno 1945AUTORE : dato non disponibileREALIZZAZIONE : Ditta Marchegiani MarioDESCRIZIONE : serie verticale di lapidi marmoree con incisione di nomi di Caduti. E' la prima lapide a ricordo dei partigiani e patrioti posta ad Osimo dalla Liberazione. in alto sono scolpite queste parole -Perché la memoria / di chi riscatta la libertà/a prezzo di sangue/rinverdisca perenne e ammonisca/ qui /per volere del popolo s’incidono i nomi/dei martiri e combattenti osimani/caduti nella immane lotta/contro l’ultima domestica e straniera tirannide
NB: A questa lapide è stato aggiunto di recente dall'amministrazione comunale solo Spinsanti Giulio dalle Casenuove. Mancano quelli precedenti di Badialetti e Serloni.