80° Siamo ancora qui!

 

Ottant'anni non sono pochi ma purtroppo siamo ancora qui a dover ribadire e a celebrare una verità storica acclarata che inequivocabilmente afferma che a fare strage di partigiani italiani coinvolti nella guerra di Liberazione dall’invasore nazista come pure di inermi civili, non furono solo i tedeschi ma che a quell’odio viscerale per l’umanità collaborarono i falsi patrioti quali i fascisti.  Ce lo dice la presenza nelle stragi di battaglioni neri come la Mutti, la Decima Mas, delle SS italiane che anche sul nostro territorio marcarono con la loro ombra di morte.

Fu così anche 80 anni fa quando a Chigiano di Valdiola, alle porte di S. Severino Marche, avvenne la strage del Battaglione Mario, in cui militarono diversi partigiani osimani, e di inermi contadini.

Un battaglione dove militavano russi, somali accanto a osimani, cameranesi, serrani, ecc. Un battaglione composito ma che agognava ad un mondo di pace, senza sopraffazioni, senza distinzioni di fede e di razza visto che in quei luoghi fu ucciso anche Don Pocognoni.

 A coadiuvare l’azione dell’Alpenkrieg tedesca specializzata nelle azioni antipartigiane in montagna, in quel 24 marzo 1944 furono attivi anche fascisti maceratesi.

Non bastò loro fucilare ma, con tutto l’odio che l’uomo può manifestare, gettarono i corpi ormai esanimi dal ponte sul Musone e, scendendo nel greto, infierirono su quei corpi brandendo le carni martoriate anche quelle più intime.

Oggi sappiamo ciò che non dobbiamo fare: seminare altro odio: odio per chi è diverso da noi, odio per chi parla e pensa diversamente da noi.

Però sappiamo altrettanto bene ciò che dobbiamo e possiamo fare: difendere la Costituzione della Repubblica Italiana nata dall’antifascismo e dalla Lotta di Liberazione.

Difendere la Costituzione significa difendere tutti quei principi che oggi determinano e regolano un rapporto ragionevole tra cittadini: un rapporto umano, solidale.

 

Osimo 24 marzo 2024

I volti della Chiesa.

Proprio oggi parlavamo in un'articolo su Priebke della "Via dei Ratti", ovvero del modo utilizzato dai criminali di guerra nazisti per trovare l'esilio volontario in Sudamerica.  Facile sarebbe confrontare, leggendo l'articolo di seguito,  l'atteggiamento di Pio XII che passò sopra il Fascismo come il suo predecessore, che passò sopra lo sterminio ebraico e sopra la guerra fascista, con quello dell'attuale papa Francesco e la dittatura di Vileda.  Questo che riportiamo é un articolo dell'Avvenire, giornale dei vescovi italiani, che vorrebbe diradare le nuvole (poche per la verità) sopra la testa dell'attuale pontefice e dell'atteggiamento e del ruolo avuto dal medesimo nei confronti della dittatura argentina, fermo restando che, anche nel rispetto al contenuto del testo sotto, riteniamo scontate le relazioni tra le istituzioni di uno stato cattolico come l'Argentina e il Vaticano e chi lo rappresenta in loco.   

Bergoglio alleato della dittatura argentina? Un falso. E adesso un libro porta prove che raccontano un'altra verità: il futuro Papa, negli anni tra il 1976 e il 1983 non solo non cooperò con la dittatura dei generali argentini, ma mise in piedi – con trucchi e stratagemmi – una vera e propria “rete” clandestina grazie alla quale, a rischio della sua vita e reputazione, riuscì a far uscire dall'Argentina o a nascondere molte persone che il regime di Jorge Videla aveva già messo sotto tiro e che sarebbero diventati inequivocabilmente desaparecidos. E non solo: i superiori a Roma vennero sempre informati delle azioni di Bergoglio e delle sue iniziative.
La storia della rete clandestina messa in piedi da Jorge Mario Bergoglio è emersa solo dopo la sua elezione al Pontificato e la disgustosa polemica sul suo presunto appoggio (con tanto di foto taroccate) al regime argentino. A raccontarla è stato il giornalista di “Avvenire” Nello Scavo, che ha raccontato la sua esperienza e la storia alla base del suo “La lista di Bergoglio” (Emi Torino, pp. 192, € 11,20) in un incontro teutosi a Milano, presso il Centro San Fedele dei Gesuiti, nei giorni scorsi. Scavo prende le mosse dall'elezione di Francesco: “Quando la Chiesa è in difficoltà si affida ai Gesuiti, loro sono la 'Delta Force', i marines della Chiesa che intervengono sul campo”, dice. E proprio in quelle ore inizia a girare la “leggenda nera” della connivenza di Bergoglio con il regime di Videla: “Mi sono chiesto: i cardinali si sono sbagliati? E ho iniziato a indagare”. Scoprendo che le accuse non erano così incontrovertibili come potevano sembrare. Uno degli eroi dimenticati di questa storia è il viceconsole italiano in Argentina, Enrico Calamai, che più volte è riuscito a salvare e far scappare centinaia di persone all'estero.
Ma il futuro Papa, in quegli anni Settanta insanguinati, perché non ha gridato contro il regime? La risposta, per Scavo, è semplice: “Se Bergoglio avesse gridato, la sua voce nemmeno si sarebbe sentita”. Tanto che il suo nome nelle cronache inizia ad affiorare solo dagli anni '90, quando diventa vescovo Ausiliare di Buenos Aires e dopo coadiutare (cioè con diritto di successione). Che fare, allora? Urlare non sarebbe servito a niente, essere compromesso nemmeno (la compromissione era espressa dalla Gerarchia locale, rappresentata in primis dal nunzio in Argentina, cardinale Pio Laghi): l'unica soluzione è stata quella di rischiare, come rischiarono (e morirono) 113 tra sacerdoti, religiosi, vescovi. Il giornalista di Avvenire racconta, ad esempio, come Bergoglio riuscì a nascondere centinaia di persone presso il collegio bairense di San Miguel; oppure quando travestì un giovane da prete (era molto somigliante a un suo religioso) e lo fece espatriare nel nord dell'Argentina: i poliziotti non si accorsero dello scambio di persona. Per il gesuita Alfredo Somoza, il futuro Francesco in quegli anni '70 gioca una vera e propria partita a scacchi con i militari. Con Alicia Oliveira, magistrato argentino dalle idee molto progressiste, deve giocare d'astuzia e non poco: la Oliveira non vuole andare “in mezzo ai preti” a San Miguel. Bene: due volte la settimana padre Jorge con una macchina va a prenderla dal suo nascondiglio, la chiude nel portabagagli e se la porta in collegio a incontrare i figli: “Pensate che rischio – dice Scavo – per Bergoglio: avrebbero potuto ucciderlo oppure il regime lo avrebbe potuto diffamare: uno dei responsabili dei Gesuiti fermato mentre era in macchina con una donna nel cofano”. Juan Carlos Scannone, docente di teologia del futuro Papa, finisce nel mirino della dittatura e rischia di non poter pubblicare più un rigo. Padre Jorge lo incontra di persona e, a quattrocchi, gli spiega come scrivere e in che modo per superare la censura della polizia e della Gerarchia. A parlare con Scavo e rompere il muro di silenzio è stato proprio Scannone, che ha raccontato al giornalista come il Papa “non voglia una revisione del suo CV a mezzo di un giornalista”. E non ha mai voluto mettere in piazza il suo impegno segreto. Le storie sono tante, e testimonianze giungono ancora al giornalista di Avvenire. La lista di Bergoglio, è certo, non è ancora del tutto chiusa

Antonino D'Anna

L'Avvenire

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