24 giugno 1944- 24 giugno 2014. 70° delle Casette di Rinaldo

70° dei caduti e della rappresaglia di Casette di Rinaldo

Sono settanta anni da quell’episodio in cui persero la vita tre osimani e altri persero ogni avere.

Quel 22 luglio era un giovedì che, nonostante non si udissero ancora le cannonate del fronte che stava avanzando in direzione della città, per quei tremendi diciotto giorni di terrore e di morte, gli osimani si barcamenavano ancora nel mercato di piazza, una tradizione secolare che continuava nonostante tutto, nonostante il mercato “nero”.

I partigiani del Distaccamento “Franco Stacchiotti” di stanza a casa Guercio, una casa colonica a ridosso del Fiumicello laddove si unisce al Musone, pattugliavano la provinciale jesina nei pressi della località Casette di Rinaldo tra le frazioni di Campocavallo e Padiglione.

Contemporaneamente i patrioti scorsero un portalettere tedesco a cavallo della sua moto e non esitarono ad aprire il fuoco.

L’arma sparò ma s’inceppò e così i partigiani ripiegarono: sopraggiunse nel frattempo un’auto con a bordo i partigiani Augusto Pallotta e Marcello Espinosa.

Notando del movimento,  i due giovani partigiani ignari scesero dall’auto e furono sorpresi dal fuoco del tedesco, ferito nel breve scontro avvenuto poco prima, intento a raggiungere un gruppo di guastatori fermo a Padiglione.

Le due salme furono portate all’Ospedale di Osimo e stettero due giorni nella camera mortuaria vestiti di una camicia rossa.  Molti osimani visitarono quella sala sotto l’occhio vigile dei tedeschi che accettarono, non certo di buon grado, quella veglia funebre probabilmente consci che ogni ritorsione sulla popolazione del centro sarebbe stata strategicamente inopportuna.

Non mancò invece una ritorsione sulla periferia laddove avvennero  quei fatti.

Il 24 giugno di settant’anni fa, di buon mattino, truppe tedesche invasero le povere case di Casette di Rinaldo facendo uscire a forza quanti vi si trovavano, radunandoli.

Lo spavento e la tensione furono sopraffatte dalle grida dei comandi impartiti in tedesco alla popolazione.

In quel momento apparve in cielo una cicogna alleata e i tedeschi impartirono l’ordine di gettarsi nel fosso che corre di pari passo alla provinciale e che risultava essere sicuro poiché abbastanza profondo.

Tutti si aspettavano il peggio ma in quel momento arrivò in bicicletta Don Igino Ciavattini già fatto anch’egli oggetto di attenzione e lo costrinsero ad unirsi al gruppo.

Il parroco tuttavia conosceva abbastanza bene il tedesco e dopo aver conferito con il comandante di quella compagnia impartì la benedizione al gruppo di braccianti nel fosso; potè così inforcare di nuovo la bicicletta e correre via.

A quel punto la situazione sembrava precipitare ma, invece, fu chiesto ai prigionieri di uscire e di portare i covoni appena composti dentro ogni abitazione del piccolo centro.

Finita l’operazione, con la stessa determinazione, chiesero a quei contadini di appiccare il fuoco a quei covoni che avvamparono in un attimo e, in poco tempo, le fiamme attaccarono quelle umili suppellettili e quelle travi di legno di quei poveri ricoveri che crollarono e distrussero, casa per casa, il piccolo centro.

Mentre i contadini appiccavano il fuoco alle loro case i tedeschi si dileguarono: i nazisti non tardarono tuttavia a tornare.

La vendetta per quel ferimento non è completa.

Il 25 giugno ritornarono sui loro passi e scorsero la macchina utilizzata da Espinosa e Pallotta in un terreno poco distante.

Chiesero con irruenza al proprietario di quel terreno di chi fosse quel mezzo abbandonato.

Questo non parlò e dichiarò di non sapere perché quel mezzo fosse lì e la risposta dei tedeschi fu tremenda. Estrassero le armi e ferirono a morte il mugnaio Carlo Polverini.

Questo è ciò che accadde sett’anni fa e noi ricordiamo oggi quell’episodio a pochi giorni dalla celebrazione del 70.esimo della Liberazione della città perché con orgoglio ci sentiamo di rappresentare quanti, a scanso della loro vita, si misero in gioco mentre altri, colpevolmente, guardavano o, peggio, supportavano in camicia nera, i principali artefici del disastro della guerra e il loro alleato teutonico.

Questo dovrebbe essere un obbligo morale sentito da quanti si dichiarano cittadini di questa città, di questo Paese.

Sappiamo che la stragrande maggioranza dei cittadini è consapevole di ciò che la lotta di Liberazione di partigiani, militari, cittadini ha loro donato: la libertà e la democrazia.

Forse sono in pochi gli altrettanto consapevoli che la libertà e la democrazia, iniziata per noi osimani in quel 6 luglio 1944, non è scontata, non è per sempre.

Ciò che è stato con tanto sacrificio conquistato può essere perso in un nonnulla. La libertà e la democrazia vanno difese giorno per giorno con la coscienza di cittadini e la partecipazione alla vita ammnistrativa della città, del Paese.

-La politica o la si fa o la si subisce – Queste erano le parole d’ordine di De Gasperi che fanno eco alle parole di Gramsci sugli odiati indifferenti alla partecipazione democratica.

Sono anche vere le parole di Arrigo Boldrini: Combattemmo per chi c’era, per chi non c’era, per chi era contro.   

L’ANPI non ha disatteso in settanta anni quelle parole.

In setta anni, è stata vigile sulle Istituzione democratiche specie nei momenti più bui della nostra Repubblica, un’attenzione ancora oggi alta affinché i valori espressi con quei sacrifici non vadano persi, ma si propaghino di generazione in generazione finché un libero tricolore sventolerà sulle nostre città. 

   PALLOTTA ED ESPINOSA. Sotto: i loro corpi nella camera mortuaria con le camicie rosse e il loro ricordo di Romolo Augusto Schiavoni

 

  

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